Quando si dice Piazzolla si dice tango e bandoneon: tango argentino (attenzione, non tango flamenco o tanguillo, che è ben altra cosa) e bandoneon o bandonion (da non confondere con la fisarmonica). Il tango è argentino. Più precisamente il tango è rioplatense, appartiene cioè alle capitali del Plata, anche se Buenos Aires si prende la parte migliore nei confronti di Montevideo. E’ una danza ancora giovane, il tango. Molto giovane se la paragoniamo all’età del minuetto o della gavotta, perché nacque verso la fine del secolo scorso, dalla milonga campera delle zone rurali, dai balli negri dei quartieri del tambor e dalla habanera cubana, figlia quest’ultima della contraddanza, che a sua volta era una versione antillana della country dance, di origine inglese: una genealogia complicata, dunque, degna di quella terra di emigranti che è l’Argentina.
Il tango è musica, ma è anche e soprattutto danza. Quel che la musica dice è sempre un po’ misterioso, o meglio, è misterioso per chi non ne conosca a fondo il linguaggio in tutte le sue componenti sintattiche e storiche, mentre il “messaggio” della danza, con le sue figure, lo capiscono tutti. Anche i moralisti. All’inizio dell’Ottocento i moralisti erano insorti in massa contro il valzer, reo di provocare, con il contatto dei corpi della coppia, effetti erotici: “Il ballo tedesco volgarmente detto valzer non può mai esser permesso”, aveva sentenziato monsignor Bouvier, vescovo di Le Mans, in un trattatello di morale ad uso dei confessori. E tanti romanzieri ci hanno descritto le angosce di padri e mariti che vedevano le rispettive figlie e mogli volteggiare allacciate ad un qualche zerbinotto in cui sospettavano inhoneste intenzioni. Poi il valzer venne accettato ed i suoi effetti erotici furono – forse – neutralizzati.
Ma era appena stato messo sotto tutela il valzer che dall’Argentina arrivò il tango, all’inizio del Novecento. E i moralisti, i nuovi moralisti in cui si reincarnavano gli antichi, partirono lancia in resta la seconda volta. Del resto, come ci ha raccontato Meri Franco-Lao, “il primo tango prosperava nei bordelli, attorno alle caserme e al porto, nelle case chiamate «di fiducia»”, e “le donne più richieste non erano necessariamente le più giovani e attraenti, ma quelle che nel ballo seguivano con più duttilità l’uomo”. Se tanto ci dà tanto…
Potevano magari essere accettate, delle figure del tango, la passeggiata, el paseo, e il garabito, corsa precipitata, e tollerata la mezzaluna, media luna, ma las tijeras, le forbici, e las vueltas, le giravolte, provocavano effetti su cui era meglio sorvolare, tacciandoli però di presunta scostumatezza.
Vecchi spezzoni di film muto ci mostrano signori impomatati e con una discreta dimensione tondeggiante di gilet che eseguono coscienziosamente las tijeras e las vueltas con fanciulle che sostengono col mignolo della mano destra, infilato nell’ anello a ciò preposto, lo strascico della veste. E l’effetto è per noi irresistibilmente comico. Ma forse i moralisti non vaneggiavano del tutto …
La, diciamo così, natura profonda del tango non poteva sfuggire ad un moralista come Erik Satie, che il 5 maggio 1914, per la serie Sport e Divertimenti, scrisse Il tango perpetuo. Con la didascalia moderato e annoiatissimo parte il tango. Tra i due righi la spiegazione: “Il tango è la danza del Diavolo. Proprio quella che preferisce. Lui la danza per raffreddarsi un po’. Sua moglie, le sue figlie e le sue cameriere si raffreddano così”. E al termine della pagina il segno di ripetizione dall’inizio rende infinito il tango del Diavolo.
Il tango dei giorni di festa era affidato ad orchestrine in cui il violino e la fisarmonica la facevano da padroni. Nella fisarmonica il suono è prodotto dalle variazioni di una linguetta elastica, ancia, libera, cioè non chiusa in un contenitore e battente contro le pareti dello stesso. La vibrazione dell’ancia è provocata da una corrente d’ aria prodotta dal serrarsi e dall’allargarsi del mantice. Una serie di valvole la cui apertura è comandata da tasti o da bottoni incanala l’aria in modo che l’esecutore possa scegliere quali ance far vibrare, e quindi quali suoni produrre. La fisarmonica, rispondente a principi di produzione del suono già noti da secoli, venne costruita in molti tipi all’inizio dell’Ottocento, sia nella versione portatile sia nella versione con piccolo mobile. C’erano fisarmoniche destinate dai costruttori, perché poco costose e molto maneggevoli, alla musica popolare, e c’erano fisarmoniche che ambivano a svolgere un ruolo nella musica colta. La Physharmonika inventata da Anton Häckel nel 1818, e che diede probabilmente origine al termine italiano fisarmonica (in francese la fisarmonica si chiama accordéon, accordion in inglese, Akkordeon in tedesco), fu presa in considerazione addirittura da una ragazza che si chiamava Clara Wieck e che si sarebbe chiamata di lì a qualche anno Clara Schumann. Le cronache concertistiche ci dicono che il 27 gennaio 1831 la dodicenne Clara presentò nell’Hotel di Pologna di Dresda una sua “Romanze fϋr die Physharmonika und Pianoforte“. Il padre di Clara, Friedrich, eseguiva la composizione suonando e il pianoforte e la Physharmonika, che veniva collocata sulla destra del pianista, un po’ come, certe volte, la claviolina al giorno d’oggi; poi Clara eseguiva al pianoforte delle sue variazioni sulla romanza appena ascoltata. Questa esecuzione fu ripetuta nella Grande Sala del Comune di Arnstadt il 26 ottobre, e il 13 dicembre a Cassel. Ad Altenburg, l’11 novembre 1832, Clara presentò un suo Notturno per Physharmonika e pianoforte. Poi lasciò perdere … Però un pensierino sul giovane strumento ce l’aveva fatto.
Cari Georg Lickl, compositore viennese nato nel 1801, ci fece più d’un pensierino: scrisse molte musiche e un metodo, fece dei giri di concerti suonando la Physharmonika. Ma la fisarmonica divenne per definizione uno strumento popolare, e venne usata da compositori di musica colta – Ciaikovsky nella Suite caractéristique op. 53, Giordano in Fedora, Berg in Wozzeck – per effetti di caratterizzazione.
Nel 1843 un clarinettista, C. Fr. Uhlig, inventò una variante della fisarmonica, la Konzertina, che si ispirava alla Concertina, brevettata dall’inglese Charles Wheatstone nel 1829. Verso il 1846 Heinrich Band di Krefeld modificò la Konzertina, dandole il suo nome, Bandoneon (Akkordeon-Akk + Band=Bandoneon).
Lo strumento del Band aveva sessantaquattro suoni, e due bottoniere. I suoni divennero poi ottantotto, poi centotrenta, poi centoquarantadue. Per misteriose ragioni, il Bandoneon vinse in Argentina la concorrenza di tutti gli altri tipi di fisarmonica, e divenne lo strumento del tango all’incirca nel secondo decennio del nostro secolo.
Piazzolla nacque nel 1921, quando il tango era ormai diventato un orgoglio nazionale, quando accanto al tango strumentale era sorto il tango come canzone a ballo, e quando i cantanti di tango suscitavano fanatismi, in Argentina e fuori. Studiò composizione con Alberto Ginastera, la cui estetica del periodo intorno al 1940 venne poi denominata “nazionalismo oggettivo”. Ginastera non era interessato al tango, bartokianamente definibile come “musica colta popolaresca”, ma al canto popolare, cioè al canto criollo e alla musica dei gauchos della pampa. Formatosi con un musicista come Ginastera, Piazzolla venne poi in Europa per studiarvi direzione d’orchestra con Hermannn Scherchen e composizione con Nadia Boulanger. Scherchen e la Boulanger potevano esser interessati al tango in quanto fenomeno folclorico, ma non potevano altresì non vederlo che sotto l’ ottica di Stravinsky, del Tango di Stravinsky composto nel 1940. Piazzolla fece una sterzata che dovette costargli fatica, coraggio, determinazione morale e poetica. Rientrato in Argentina, fondò due complessi strumentali e, nel 1960, il Quinteto con cui eseguì oltre ai suoi anche alcuni tanghi del repertorio popolare. Non smetteva di comporre musica colta, tanto che nel 1967 terminava addirittura un’opera, Maria de Buenos Aires. Però con il Quinteto compiva un’operazione che può essere paragonata a quella del Modern Jazz Quartet, fondato da John Lewis nel 1952. Sarebbe fuor di luogo sviluppare qui un paragone tra Piazzolla e Lewis. Intendo solo far notare che la nascita e l’affermazione internazionali dei tango e del jazz procedono cronologicamente in parallelo, e che il Modern Jazz Quartet e il Quinteto di Piazzolla arrivano a collocarsi, press’ a poco negli stessi anni, nella stagione di concerti da camera che è il luogo sovrano di fruizione della musica colta. Cinquant’anni fa il tango era Caminito, oggi il tango è Piazzolla, ed è Piazzolla per tutti quelli che si occupano di musica. Potrebbe essere azzardato un altro paragone, ma io lo azzarderei volentieri: tango-Piazzolla e mazurca-Chopin. E’ troppo?