Il Bandoneon respira l’aria del mondo


di Carlo Piccardi

Intervista ad Astor Piazzolla





Danza, canzone, ricerca strumentale: il Tango, nato fra l’umanità diseredata di Buenos Aires (fra gli emigranti italiani, tedeschi ed altri paesi d’Europa spintivi dalla necessità e carichi di passato, fra i gauchos scesi da cavallo e inurbati, trascinanti nella grande città la memoria della pampa), si è imposto agli Argentini come un’ esperienza totalizzante capace di riassumere in sé tutta la ricchezza della loro cultura e della loro esperienza. Non si può parlare di regola, ma non è certo casuale che le situazioni di sofferenza, di oppressione o di emarginazione quando riguardano un intero popolo trovino voce nella musica, al punto da consegnare a questa e non ad altro l’autenticità della loro espressione. Gli zigani magiari e rumeni, i gitani spagnoli, i negri dell’America del jazz, ecc. documentano situazioni che, al pari del Tango in Argentina, individuano nella propria espressione musicale l’ emblema della loro cultura, che nessun libro, nessuna poesia, nessun quadro potrebbero rivelare più compiutamente.

C’è anche qualcosa d’altro che accomuna il Tango alle esperienze citate: il loro nascere al crocevia fra popoli, l’instabilità dei modelli culturali che vi confluiscono. La prima grande città che accolse gli zigani (i quali di per sé già convivevano con Ungheresi, Valacchi ed altre comunità derivandone determinate caratteristiche) fu Vienna al tempo del Congresso del 1815, la quale con questo confermava il suo ruolo di crogiuolo di popoli il cui risultato fu la grande musica strumentale del classicismo di Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert. A Vienna la musica assurse ad emblema della sua cultura proprio in quanto espressione più di ogni altra in grado di realizzare la sintesi tra i modi “nazionali” che vi provenivano dalle varie componenti dell’impero (dall’Italia, dalla Boemia, dall’Ungheria, dalla Croazia, ecc.). La stessa maniera degli zigani è all’ origine dello stiramento ritmico tipico del valzer viennese. Parigi nell’Ottocento, che fu capitale letteraria per la Francia, fu capitale europea per la musica, come luogo d’ incontro di esponenti delle varie tradizioni nazionali, dal polacco Chopin, all’ italiano Rossini, al russo Stravinsky, dando luogo a un’ identità musicale di tipo cosmopolita.

 

Il jazz che non riguarda una sola città ma l’ intera nazione americana non sarebbe pensabile al di fuori dell’ interazione culturale tra la comunità negra, i bianchi, gli ebrei e tutte le altre componenti della complessa realtà statunitense.

La stessa disomogeneità etnicoculturale è caratteristica di Buenos Aires: si direbbe che le condizioni che portano la musica al progresso non siano quelle che la radicano a una forte stabilità stilistica, bensì quelle che la costringono al confronto, a ripensare la propria identità, a modificarla in funzione di una trasformazione sociale e culturale continua.

L’ Europa col suo assetto di nazionalità stabilizzate ha da tempo cessato di influenzare il corso della musica nel mondo.

La ricchezza di storia di una città come Berlino non basta a dotarla delle prerogative per determinare l’ evoluzione di una nozione musicale che è possibile invece in città addirittura prive di passato, ma dove interagiscono i vettori espressivi più disparati in conseguenza alla realtà multietnica a cui deve far riferimento.

Buenos Aires ha avuto ed ha ancora queste caratteristiche, anche se Piazzolla non ha mai fatto riferimento esclusivo alla sua città natale. Emigrato con la sua famiglia a New York all’età di tre anni è là che impara a suonare il bandoneon. Quella distanza geografica ha gettato il seme di una distanza culturale, nel senso che l’ immedesimazione di Piazzolla nelle forme del Tango non fu mai totale e gli consentì nel 1954 di compiere quella svolta che un porteño ignaro di ciò che capita al di fuori della sua città non avrebbe probabilmente potuto fare.

Alla radice di questo processo sta lo sganciamento del Tango dal canto, dalla canzone. Come canzone il Tango è tenuto a garantire una linearità: spezzare la melodia significa compromettere il testo.

Sciolto il Tango dal canto, gli è stato possibile sviluppare ciò che nervosamente si agitava nel tessuto strumentale, cioè quella frammentazione del materiale tematico, quell’ angolosità delle cellule componibili e scomponibili come in un puzzle, quell’ energia ritmica che non deriva da un apparato percussivo (praticamente assente nell’orchestra di Tango) ma che si sprigiona dal modo in cui si confrontano e si sovrappongono le cellule tematiche diramate in tutte le parti in un continuo spostamento d’ accenti. L’ immagine sonora che ne deriva accumula con ciò una tensione unica, indescrivibile, che porta la protervia e la carica isterica del modello espressivo di base a un livello d’ astrazione e d’ universalizzazione supremo.

Se nel 1979 il Concerto para bandoneon è nato da un normale incarico di composizione, la ricerca di nuovi rapporti consentiti dall’ impiego dell’ orchestra sinfonica si presenta invece come lo sbocco naturale di una scrittura che nei confronti dell’ elaborazione motivico tematica non deve operare un adattamento ma vi riconosce la sua stessa modalità. Il Tango di Piazzolla è già sinfonico prima di adattarsi all’ orchestra sinfonica: esso è talmente indissociabile dalla concezione contrappuntistica, in cui ogni parte strumentale è legata in un rapporto di necessità senza distinzione tra voce principale e accompagnamento, che nella sua versione sinfonica diventa invece l’ esplicitazione finale di un obiettivo tendenzialmente sotteso nel suo Tango “da camera”.

Su questa base gli è stato possibile collegare direttamente la sua esperienza alla grande tradizione musicale europea e a rompere quel rapporto di contemplazione esotica che da sempre investe il Tango argentino. Se il Tango di Gardel ci appare esotico in quanto documenta una realtà a noi lontana, il Tango di Piazzolla pulsa direttamente come espressione della nostra stessa realtà.

La sua variante sinfonica in questo senso conta tanto quanto quella del suo ritrovare il canto con Milva, della sua capacità di inserirsi nel filone del jazz con Gerry Mulligan, del suo spaziare meditativo col Kronos Quartet. Certamente la sua esperienza testimonia una di quelle operazioni che si ripetono nella storia, del popolare che feconda la tradizione colta, come fu la maniera zigana rivisitata da Franz Liszt nelle Rapsodie ungheresi. In verità il paragone andrebbe fatto con Bartòk e con Kodaly, poichè Liszt era rimasto a metà strada a contemplare esoticamente il mondo dei “bohemiens” in cui si sentiva coinvolto solo idealmente, mentre i moderni Ungheresi, esattamente come Piazzolla ha fatto, sono partiti direttamente dalle radici della loro tradizione. Come loro in queste radici Piazzolla ha individuato le regole di un linguaggio universale, capace di superare i limiti della geografia locale, di tenersi legato alla radice per succhiare dalle origini il nutrimento, ma diramandosi in fronde lussureggianti per cogliere il respiro del mondo.

Questo respiro, in senso quasi proprio pensando all’ affannoso ansimare del suo strumento, è presente nell’ intervista concessa da Piazzolla allo scrivente l’ 11 dicembre 1989, in occasione di un concerto al Teatro Kursaal di Lugano in cui il grande musicista compariva accanto all’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Bruno Pizzamiglio nell’ esecuzione del Concerto para bandoneon e di altri brani in versione sinfonica.

Quando si parla di Astor Piazzolla si parla automaticamente di Tango e automaticamente si parla di Argentina. Come potrebbe Lei definire a modo suo il Tango?

Penso che si possa definire il Tango in tre maniere: uno è il Tango classico tradizionale argentino, c’è il Tango internazionale europeo alla maniera di Rodolfo Valentino che a mio intendere è un po’ ridicolo, ma non è colpa dell’ Argentina bensì del cinema americano. Valentino è il Tango in cui si grida “olé”, che non è un parola argentina ma spagnola. Quando il torero esce e vuole ammazzare il toro tutti gridano “olé”. E’ un’ espressione spagnola non argentina; e con questa espressione il Tango risulta un po’ ridicolo, grottesco per me. Poi c’è il Tango da ballare del 1940 che io ho vissuto in quel momento in Argentina con Anibal Troilo, l’ orchestra tradizionale più importante dell’ epoca. In quel momento Buenos Aires era una città dove tutto era Tango: ci si vestiva come il Tango, si camminava come il Tango, si ballava il Tango, la giovinezza argentina era il Tango, tutto era Tango. Il profumo del Tango lo si poteva provare in tutta la città, si mangiava il Tango, tutto era Tango. I ragazzi di 18 – 19 anni erano una figura del Tango nella città di Buenos Aires. Questo è durato dal ’40 al ’55. Dopo 15 anni tutto è cambiato, a causa dell’ invasione di Elvis Presley, del Rock and roll che è cominciato dopo gli anni ’60, i Beatles ecc. Il Tango era in via di estinzione. Quando sono arrivato io nel ’54 è apparso un altro Tango, un Tango intellettuale, un Tango da pensare, un Tango non da ballare e non da cantare, un Tango non antico, non tradizionale, un Tango da pensare, un Tango un po’ da camera.

Quindi Lei in un certo senso ha fatto un’ operazione retrospettiva di recupero di un origine argentina che era persa nel tempo.

Penso di sì, penso che la mia musica abbia un fondo di Tango ma non è al 100% Tango. La musica di Astor Piazzolla è il 10% di Tango puro e il 90% di musica classica contemporanea.

Il suo Tango è molto personale (diciamo Tango anche se la parola è troppo limitativa); è molto personale però anche il risultato di esperienze diverse non necessariamente argentine che vi sono confluite. C’è qualcosa per esempio che ricorda, per quel che riguarda la parte improvvisatoria, il jazz. Quali sono le altre influenze che Lei ha subito?

Un po’ di tutto. Ho studiato musica in Argentina con il maestro Ginastera per 8 anni, poi ho studiato in Francia con Mademoiselle Nadia Boulanger. Con il maestro Hermann Scherchen ho studiato direzione d’ orchestra. Sono soprattutto un musicista che ama la musica e nello stesso tempo sono un musicista della città di Buenos Aires. Quale è la musica di Buenos Aires? Il Tango! Allora il Tango è automaticamente dentro la mia musica di concerto, chiamiamola così.

Lei ha vissuto a New York. Possiamo parlare di influenze nordamericane nella sua musica?

Penso non nordamericane: piuttosto c’è un po’ di influenza della città di New York di quel momento. Mi ricordo che ero un bambino di 10 anni quando ho cominciato a studiare il bandoneon a New York e sono stato influenzato nel sentire tutte le orchestre di jazz di Duke Ellinton e Cab Calloway, grazie a Dio la buona musica jazz, Benny Goodman, ecc., Glenn Miller in seguito. Da bambino ho sentito tutta quella musica. Ma nello stesso tempo mio padre aveva portato a New York 40-50 dischi, l’ evoluzione del Tango di Carlos Gardel, e anche un sestetto molto importante di musica del Tango di Buenos Aires, il sestetto del maestro De Caro. Mio padre tutte le sere quando veniva a casa, la prima cosa che faceva era ascoltare questo Tango. A 14 anni io domandavo a mio padre: “Papà perchè piangi?” “Perchè sto ascoltando la musica del mio paese.”

Io l’ ascoltavo, ma a me non faceva piangere, per niente. Poi tutta questa musica è entrata a poco a poco dentro di me, nel mio corpo. Nello stesso tempo in cui io ascoltavo Bach e amavo Chopin, fino a Mozart e Schumann, nello stesso tempo avevo cominciato ad amare il Tango senza saperlo. E questo è stato per caso, la musica è venuta sola nel mio corpo. Solo in seguito, quando sono ritornato in Argentina da New York all’età di 17 anni, ho cominciato a sentire il Tango che mi piaceva, quello strumentale, e pensavo: questo è il Tango che mi piace, non quello classico tradizionale, io vorrei suonare in questa maniera. E a poco a poco ho cominciato a suonare nella maniera che mi piaceva.

E’ curioso che la sua assimilazione del Tango sia avvenuta non su terra argentina, ma a distanza di chilometri e addirittura a distanza sonora, attraverso i dischi. C’è un filtro quindi tra lei ed il Tango. Forse è il filtro che aumenta il quoziente di nostalgia nella sua musica ?

Si, io penso che è un po’ la nostalgia che avevo nel guardare mio padre che piangeva. Quelle lacrime di mio padre sono rimaste dentro di me perchè il mio Tango, la mia musica, è un po’ masochista, masochista perchè è un autotortura, perchè mi piace la tristezza, amo la tristezza. Non sono però una persona triste, tutto il contrario; ma mi piace sentire la tristezza in uno Schumann o in Mahler. Io mi sento felice quando sento Mahler, questo mi fa molto felice. E’ triste la musica, ma sono felice perchè sono felice con la tristezza, con Chopin e Gabriel Fauré o con Debussy, e con tanti altri compositori melanconici, romantici. Ma sapevo che il Tango a poco a poco si era diviso in due parti: il Tango d’inizio del 1900 era un Tango allegro ma poi, quando è venuto Carlos Gardel, tutto era da piangere e le parole cominciavano a parlare di disprezzo dell’ uomo argentino per la donna. L’ uomo si sentiva felice se la donna abbandonava l’ uomo, parlava della morte, la morte della madre, e della donna che l’abbandonava con il suo amico.

E’ diventato una concezione del mondo ?

Un po’ del mondo degli immigrati italiani, spagnoli, francesi, che sono venuti in Argentina a lavorare e questa è la tristezza soprattutto degli immigrati italiani e spagnoli.

In quel momento non c’era l’ aereo con il quale in 15 ore si poteva arrivare in Argentina; no, prendevano un bastimento e impiegavano 3 mesi per arrivare in Argentina e coscientemente sapevano che non si poteva più tornare in Italia, perchè costava molto denaro e bisognava rimanere a lavorare in Argentina.

Comunque emigranti ce ne sono stati anche in altri paesi dell’ America del sud: in Messico, in Brasile ecc. Eppure la musica di quei paesi non è così triste, così tragica nel sentimento come quella argentina.

Io penso che la tristezza della musica argentina sia molto orientale. La musica del Tango, perchè è orientale ? Perchè il Brasile per esempio è una musica di radice africana; l’Africano è rappresentato dalla percussione, dai tamburi, dal ritmo. In Argentina nel Tango, non si trova ritmo, non c’è percussione nel Tango, non si trova. Perchè il Brasiliano è estroverso e l’Argentino è introverso e pertanto soffre, il Brasiliano no.

Il Brasiliano vive collettivamente l’ esperienza, e l’Argentino individualmente.

Individualmente, esatto: è un po’ orientale. E’ questa l’ espressione vera: l’ Argentino è orientale e il Brasiliano africano. E’ questo il ritmo, la vita, il colore; noi non abbiamo colore in Argentina. Il Brasiliano è uno che si ricorda di Carmen Miranda, ricorda il verde, il giallo, il rosso, il blu e la frutta. Noi non abbiamo frutta in Argentina, abbiamo solo mele e pere, ma non abbiamo tutti i diversi colori di frutta, la vegetazione che il Brasile, essendo un paese tropicale, ha. L’ Argentina è un paese che ha la neve e il caldo, il caldo di Buenos Aires, che è una città come Roma, come Milano. Ma l’ Argentino è duro, è una persona dura, egoista. Questo è il prototipo dell’ Argentino, arrogante; è un po’ italiano. Abbiamo l’arroganza dello spagnolo che è molto arrogante, ma l’ Argentino ha la mescolanza dell’ italiano e dello spagnolo. Allora l’ arroganza argentina è molto più forte.

Lei pensa che questo modello di espressione possa rimanere nella sua identità anche nel futuro? Quindi anche nella musica che penso seguirà la sua esperienza di Tango.

Penso di sì, penso che il mio Tango sia diverso dal Tango comune. La nascita del mio Tango è da riportare al 1954. Quando un Tango muore, sta morendo, il mio Tango comincia a vedere la luce. Il Tango di Piazzolla, comincia nel ’54 al momento in cui l’altro comincia a morire. Allora per questo la gente, i tradizionalisti, i musicisti e la gente che oggi ha più di 55 anni, non amano la mia musica.

E’ un problema sentimentale: questa gente ama il Tango tradizionale, per una questione d’affetto, di ricordi. Ballare il primo Tango. Non accettano il mio Tango, perchè è un Tango da ascoltare. L’ Argentina può cambiare tutto, ma non il Tango.

Io l’ ho cambiato ed è stata la guerra.

Che importanza ha avuto in Lei l’esperienza con compositori colti quali Ginastera e la Boulanger ?

È stato un periodo molto importante, quello che ho passato con Nadia Boulanger e Alberto Ginastera. Con Ginastera ho studiato 8 anni: con lui ho capito la strumentazione, il colore dell’ orchestra; è stato proprio lui a farmi conoscere l’ orchestra. Nadia Boulanger mi ha insegnato a conoscere il contrappunto nell’ orchestra. Quando sono arrivato a Parigi nel ‘ 54, con 50-60 chili di musica, poemi sinfonici, sinfonie, sonate per pianoforte, per violino, musica da camera, musica, musica, musica, …. ho detto a Nadia Boulanger: “Io sono un compositore, Mademoiselle Boulanger. E vorrei che Lei analizzasse la mia musica”.

Infatti analizzò tutta la mia musica per due settimane. E infine arrivò il momento. Nadia mi disse una parola che non mi piacque per niente: “la sua musica è molto interessante”. La parola “interessante” a me non piace: la musica o è brutta o è meravigliosa. Allora, quando sentii la parola “interessante”, dissi: “Perchè interessante?” “Perchè non trovo Piazzolla in questa musica, questo è un po’ Bartok, Stravinski, Hindemith, … ma Piazzolla non c’è; cosa fa Piazzolla?”.

Avevo vergogna di dire alla grande Nadia Boulanger che io suonavo il bandoneon in un night club, in un cabaret a Buenos Aires, che suonavo il Tango. Quando sentì la parola Tango, Nadia Boulanger era contentissima, e mi disse: “Ma come, Le piace il Tango?”. E quando parlai del bandoneon, sapeva del bandoneon, e disse una frase molto simpatica: “Questo è l’ unico strumento che nemmeno Hindemith ha potuto suonare, …. il bandoneon, e lo sa perchè ? Perchè è molto difficile”. Allora mi disse: “Suona il Tango, voglio conoscere il tuo Tango, suona per favore”.

Suonai il mio Tango, 8 misure al pianoforte. Io non sono un pianista; quando sentì le 8 misure, Nadia Boulanger mi prese le mani, e mi disse: “Ma … ecco, sento, questo è Piazzolla ! Non quei 50 Kg di musica che ho analizzato, questo è Piazzolla!. Perché non segue questo ritmo, la cosa più importante per un compositore è essere se stesso. C’è Piazzolla in questa musica, non in quella; è con questa musica che tu devi continuare”.

Quel giorno cominciai a credere in Astor Piazzolla … io che pensavo d’ essere un volgare uomo di Tango, un volgare bandoneonista, un volgare uomo da cabaret. Odiavo quell’ Astor Piazzolla, e mi piaceva il Piazzolla che componeva sonate, musica sinfonica. Quello che diceva Nadia Boulanger doveva essere un segno. Da quel momento cominciai quindi l’attacco al mondo con la musica che Nadia Boulanger riteneva buona.

C’è qualcosa di paradossale: Lei è venuto in Europa per trovare una maniera musicale avanzata e poi ha trovato la sua identità americana in Europa, è un po’ paradossale …

Si, ma anche quando ero in Argentina, e cominciai a studiare con Alberto Ginastera e a conoscere tutti gli altri compositori argentini come José Maria Castro, Juan José Castro, Luis Gianneo, Gilardo Gilardi, tutti detestavano il Tango, odiavano il Tango. Il Tango era come una parolaccia, era una musica minore, era musica inferiore. Questo era il Tango anche per Alberto Ginastera. A lui piaceva il Tango perché gli ricordava il quartiere dove era nato, un quartiere di camorristi. Conosco una sua sinfonia dove c’è un pezzettino di Tango. Gli chiesi il perchè, ed egli mi disse: “Perchè evoca ricordi della mia infanzia, mi piace; e poi mio padre fischiava sempre il Tango e per questo mi è sempre piaciuto”.

Nel 1954 inizia questa sua attività legata al Tango, organicamente legata anche al modo in cui il Tango si esprime strumentalmente in Argentina: cioè quartetto d’ archi, pianoforte, bandoneon. Negli ultimi anni pero’ ha sviluppato questa scrittura su formazioni orchestrali più ampie e anche in forme più estese. Viene forse ad essere messa a frutto l’esperienza di musica seria, di musica colta che Lei ha avuto con Nadia Boulanger e con Alberto Ginastera?

Si, adesso penso che si possa capire cosa intendeva Borges scrittore argentino, il quale diceva sempre: “Un uomo senza stile non serve a niente”. Aveva ragione. Io ho trovato in me uno stile, quando compongo il Tango, quando faccio l’ orchestrazione del Tango, quando scrivo una sinfonia, sì, trovo sempre il Tango; questo si chiama stile. Non penso che la musiça sia una competizione, non voglio essere più moderno di Stockhausen, o Xenakis, o Berio, no, penso che ogni compositore debba essere se stesso. Io devo essere Astor Piazzolla. Com’ è Astor Piazzolla ? Quando la mia musica è modellata sul Tango, allora quello è Astor Piazzolla. E’ per questo che sto lavorando. E’ per questo che ho scritto per il Kronos Quartet, per la Società di Santa Fé (Chamber Music Festival).

Tutti mi domandano musica ma col Tango. Come Slava Rostropovic il quale mi ha chiesto di scrivere una sonata pervioloncello e pianoforte, “ma … col Tango”, mi ha detto Rostropovic. Questa è la mia musica: il Tango. Perchè c’è un marchio, che è il Tango. Perchè c’è uno stile. Non sono migliore degli altri; sono io. Questo è quello che importa nella vita.

Lo stile personale è più forte della forma nella quale entra ?

Sì, penso più allo stile che alla forma. Quando io compongo una musica – sì Lei ha detto una verità qui – la forma viene da sola.

A proposito di questa riflessione: visto che i brani eseguiti qui a Lugano sono brani presentati in forme estese, e per formazioni orchestrali estese, come può commentarci in qualche parola Milonga de l’angel, Adios nonino, soprattutto il Concerto para bandoneon.

Milonga de l’angel è un brano di 56 minuti di musica, non è lungo, anche Adios nonino è un Tango classico, con un’ orchestrazione moderna, il Concerto para bandoneon è un vero concerto con primo, secondo, terzo movimento, con un secondo movimento che è una specie di cadenza di bandoneon solo, un primo movimento, che è un allegro forte. La mia musica si deve sempre suonare con rabbia, non la si può suonare alla maniera femminile: il Tango è così, è una musica di rabbia. Quando sono stato in Francia tutti i musicisti mi chiedevano cosa volesse dire “suonare con rabbia”. Ho spiegato che: un mezzoforte deve essere forte, un forte deve essere un fortissimo, un fortissimo deve essere sforzato. Questa è la mia maniera di suonare: esagerare sempre di più, suonare con aggressività. Non è musica al sapore di miele, no, ha un sapore amaro. Il Tango è così, non ha niente di dolce, è molto amaro. Questa mia musica, occorre accettarla: è così e basta.

Questo è il Tango che si pratica in Argentina da 30 anni circa. Ci sono stati imitatori, ci sono stati allievi, come vede il contesto argentino per il Tango ?

E’ un po’ il problema della gioventù non soltanto argentina, penso a tutta la gioventù del mondo, che adesso è contagiata dai molti modi di fare musica. Con il sintetizzatore è facilitata, non si deve più studiare musica. Perchè perdere tempo a studiare la musica, quando si puo’ suonare la chitarra schiacciando un bottone e la chitarra suona da sola? Questo rovina un po’ la mentalità dei giovani. Io non so come sarà il futuro. L’unica speranza mia è che i giovani argentini che amano il rock, che suonano oggi il rock, tra 5, 6, 10 anni comincino ad essere un po’ più musicali, questa è la mia unica speranza. Se a questi musicisti torna un po’ l’idea musicale del Tango e del rock dentro il Tango, penso che il Tango possa cambiare.

 



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